L’esistenza eterna di ogni essere umano.
Le conseguenze di una conversione.
Golgotha – l’evento centrale della prima creazione.
In generale si ipotizza che la morte dell’uomo, conseguenza
necessaria della vita, avviene a circa 80 o 90 anni – in pochi casi eccezionali
si diventa più anziani. È per così dire una fatalità sistemica. Ma è
davvero così?
Se guardiamo indietro ai tempi prima del diluvio, vediamo che le persone
vivevano molto più a lungo. Metusalemme visse 969 anni, suo figlio Lamec 777.
Dopo il diluvio l’età delle persone si accorcia successivamente. Arpacsad, un
figlio di Sem, visse solo 434 anni, Abrahamo, nato tre secoli dopo Arpacsad,
visse comunque ancora 175 anni.
(Vedi anche la tabella 01: "Cronologia
da Adamo a Giacobbe")
Se quindi guardiamo a ritroso lo sviluppo dell’uomo fino alla
sua creazione, ci accorgiamo che nel giardino di Eden l’intenzione originaria
di Dio per l’uomo era di concedergli il tempo di vita illimitato, vita eterna.
Ce lo trasmette anche Gen 3,22.
Che non prenda anche dell’albero della vita perché, mangiandone, viva per sempre
Gen 3,22 E l’Eterno DIO disse: «Ecco, l’uomo
è divenuto come uno di noi, perché conosce il bene e il male. Ed ora non
bisogna permettergli di stendere la sua mano per prendere anche dell’albero
della vita perché, mangiandone, viva per sempre». Gen 3,22;
Questo ci conferma che l’uomo, se avesse mangiato solo dell’albero
della vita, avrebbe vissuto per sempre. Ma, come sappiamo, le prime persone non
si sono attenute al comandamento del Signore loro Dio. Hanno mangiato, benché
proibito, dall’albero della conoscenza. E in questo caso Dio aveva loro
predetto che sarebbero dovuti morire.
Il giorno che tu mangerai dall’albero della conoscenza, per certo morrai.
Gen 2,16 E l’Eterno DIO comandò l’uomo
dicendo: «Mangia pure liberamente di ogni albero del giardino; 2,17 ma dell’albero
della conoscenza del bene e del male non ne mangiare, perché nel giorno che tu
ne mangerai, per certo morrai. Gen 2,16-17;
(Vedi anche discorso 96: "Perché
credere?")
Questo naturalmente non significa che dovevano morire
improvvisamente dopo il peccato, ma che sarebbero morti, e quindi non avrebbero
potuto – come inizialmente previsto – vivere in eterno. Questa differenza di
interpretazione, sembra aver usato Satana per sedurre Eva.
Voi non morrete affatto.
Gen 3,4 Allora il serpente disse alla donna:
«Voi non morrete affatto; 3,5 ma DIO sa che nel giorno che ne mangerete,
gli occhi vostri si apriranno, e sarete come DIO, conoscendo il bene e il
male». Gen 3, 4- 5;
Notiamo che già la prima parola che Satana rivolse agli uomini
non era verità, ma neanche una chiara bugia, bensì una mezza verità. Come si
è poi dimostrato, dopo essere stati cacciati dal Paradiso (più correttamente:
dal giardino dell’Eden), i due in realtà non sono (subito) morti, ma hanno
continuato a vivere per centinaia di anni. Adamo ha raggiunto i 930 anni ed ha
ancora vissuto nel tempo di Lamech, padre di Noè.
Metusalemme, secondo la Scrittura l’uomo che ha vissuto il più a lungo,
raggiunse 969 anni di età. Si potrebbe quindi presumere, che la vita che Dio
abbia destinato all’uomo, dopo averli cacciati dal giardino dell’Eden, fosse
di circa mille anni.
Ma anche di questa concessione, sembra che gli uomini non siano stati degni. Si
sono in massa allontanati da Dio e andarono per le loro vie. Questo portò poi
al diluvio, in cui tutti gli empi furono distrutti e solo Noè con la sua
famiglia fu salvato.
Le generazioni dopo il diluvio raggiunsero solo ca. la metà di anni. Arpacsad,
un figlio di Sem, visse 438 anni, suo figlio Sela 433, e Eber, figlio di Sela
464 anni. Nel tempo di questo Eber, gli uomini a Babele, la città di Nimrod,
provarono a costruire una torre, "la cui cima giunga a toccare il
cielo".
Per porre un freno a questa arroganza degli uomini di quei tempi, Dio
"confuse" la lingua – che fino ad allora era comune per tutti i
popoli, in modo che ognuno prima poteva comprendere tutti. Così furono
finalmente dissuasi dalla loro finalità della costruzione della torre, ma anche
la loro età da quel tempo si ridusse drasticamente. Mentre le prime generazioni
dopo la confusione delle lingue vissero ancora 230-240 anni, l’età di
Giacobbe, il patriarca degli Israeliti, calò a 147 anni.
Ma questa riduzione graduale dell’età dell’uomo, protesasi per molte
generazioni e durata per quasi quattromila anni, fu decisa da Dio già prima del
diluvio. In Gen 6,3 apprendiamo di questa decisione di Dio:
I suoi giorni saranno quindi centovent’anni.
Gen 6,3 E l’Eterno disse: «Lo Spirito mio non
contenderà per sempre con l’uomo, perché nel suo traviamento egli non è che
carne; i suoi giorni saranno quindi centovent’anni». Gen 6, 3;
Quindi, anche se allora gli uomini vivevano ancora quasi mille
anni, Dio aveva già deciso di lasciare loro – alla fine – non più di 120 anni.
Il Regno di Pace del nostro Signore Gesù Cristo, atteso in futuro, come
possiamo vedere dalle affermazioni di molti testi profetici, non solo durerà un
migliaio di anni, ma in questo Regno anche il popolo di Dio raggiungerà ancora
una volta l’età delle generazioni precedenti – fino a mille anni. Ma fino ad
allora, questi 120 anni sono il limite massimo di anni di vita che l’uomo si
deve attendere.
Una conferma scientifica di questa dichiarazione é avvenuta solo nel nostro
tempo. la Gerontologia (scienza dell’invecchiamento) ha dimostrato che i
telomeri – i terminali dei cromosomi delle cellule – indicano tramite la loro
lunghezza (che si accorcia gradualmente nel tempo a causa degli enzimi dei
telomerasi) il limite massimo della vita biologica. Per gli esseri umani, questo
determina la durata massima di vita di 120 anni. Questo risultato è noto come
il "limite di Hayflick", dal nome del suo scopritore, il gerontologo
Leonard Hayflick.
(Vedi anche capitolo 10: "Il Millennio.")
Abbiamo tuttavia ancora una dichiarazione della Scrittura, che
conferma la potenza di Dio sulla morte. Quando il profeta Isaia arriva dal re
Ezechia con una parola del Signore per annunciargli la sua morte imminente,
Ezechia pregò il suo Dio. E Dio udì le preghiere del re e prolungò la sua
vita per quindici anni.
Aggiungerò alla tua vita quindici anni.
2Re 20,1 In quei giorni Ezechia si ammalò
mortalmente. Allora il profeta Isaia, figlio di Amots, si recò da lui e gli
disse: «Così parla l’Eterno: "Metti la tua casa in ordine, perché
morirai e non guarirai"». 20,2 Egli allora voltò la faccia verso la
parete e pregò l’Eterno, dicendo: 20,3 «Ti supplico, o Eterno, ricordati
come ho camminato davanti a te con fedeltà e con cuore integro e ho fatto ciò
che è bene ai tuoi occhi». Poi Ezechia scoppiò in un gran pianto.
20,4 Isaia non era ancora giunto al cortile centrale che la parola dell’Eterno
gli fu rivolta dicendo: 20,5 «Torna indietro e di’ a Ezechia, principe del
mio popolo: "Così parla l’Eterno, il DIO di Davide tuo padre: Ho udito
la tua preghiera e ho visto le tue lacrime; ecco, io ti guarisco; nel terzo
giorno salirai alla casa dell’Eterno. 20,6 Aggiungerò alla tua vita
quindici anni, libererò te e questa città dalle mani del re di Assiria e
proteggerò questa città per amore di me stesso e per amore di Davide mio
servo"». 2Re 20, 1- 6;
Le suddette osservazioni portano senza dubbio alla conclusione
che il momento della morte dell’uomo, ossia, visto in altro modo, la durata
della sua vita, può essere cambiata da Dio a suo piacimento. È quindi chiaro
che è Dio ad avere il potere sulla morte.
Di Gesù Cristo però si dice:
Egli ha distrutto, mediante la sua morte, colui che ha l’impero della morte, cioè il diavolo.
Ebr 2,14 Poiché dunque i figli hanno in comune la
carne e il sangue, similmente anch’egli ebbe in comune le stesse cose, per
distruggere, mediante la sua morte, colui che ha l’impero della morte,
cioè il diavolo, 2,15 e liberare tutti quelli che per timore della morte
erano tenuti in schiavitù per tutta la loro vita. Ebr 2,14-15;
Chi ha dunque il potere sulla morte? Dio o il diavolo?
Alcuni dicono Dio, riferendosi a Gen 6,3 per l’età dei patriarchi in
declino nel periodo prima e dopo il diluvio. Altri dicono il diavolo, e additano
Ebr 2,14 come prova. Ma come spesso accade in riguardo alla Scrittura, non
sono i testi sacri ad essere contraddittori, o addirittura sbagliati, ma sono
gli esegeti a tralasciare l’una o l’altra dichiarazione senza averle
controllate e analizzate.
In effetti i due passaggi in questione, Gen 6,3 e Ebr 2,14-15
descrivono questioni completamente diverse. Come mostra la suddetta
argomentazione, il primo testo si riferisce alla durata della vita dell’uomo,
che naturalmente può essere determinata da Dio, il Creatore di ogni vita. La
morte qui importa solo per il fatto che dà fine a questa vita.
Il secondo passaggio, però, dalla Lettera agli Ebrei, si riferisce ad un
contesto completamente diverso. Ma per capire meglio le osservazioni, vogliamo
fare una breve analisi del testo. Il verso in Ebr 2,14 dice: "…
affinché egli (il Signore Gesù) con la sua morte tolga il potere, a colui che
aveva il potere sulla morte, vale a dire, il diavolo, e porti alla redenzione
quelli che per timore della morte dovevano restare i suoi servi / schiavi tutti
la vita".
Qui si porgono le seguenti domande:
- Che cosa è questo "potere", che il Signore
mediante la sua morte ha portato via al diavolo?
- Perché il diavolo aveva potere sulla morte?
- Perché avevano paura della morte, coloro che sono stati
riscattati tramite la morte di Gesù?
- Di chi dovevano essere servi / schiavi, per tutta la vita?
Prima di indurci in una interpretazione, lasceremo la parola ad
altri esegeti
Lutero ad esempio ha commentato:
" …Cristo ci ha redenti dal diavolo, non che
questi non fosse più, ma che non inducesse più timore, così anche della
morte, non che essa non ci fosse più, ma che non se ne abbia più paura".
Queste spiegazioni sono essenzialmente le dichiarazioni del
suddetto testo della Scrittura e non danno risposte a qualsiasi delle questioni
qui poste.
Un altro commento è stato:
"Il diavolo ha potenza sulla morte, nel senso,
non che sia lasciata al suo capriccio, come e quando vuole imporre la morte, ma
in modo che abbia il suo governo sulla morte. Poiché egli è autore della
morte, così gli sono subordinati i moribondi e i morti in virtù della sua
supremazia sulla morte" (E.Riggenbach, citato da F. Laubach, WStb, La
Lettera agli Ebrei).
Anche in questo caso, l’autore descrive – in termini
leggermente diversi – proprio ciò che si può anche leggere nel testo originale
della Epistola agli Ebrei. Ci dice che la morte non è comunque data in balia
del diavolo, ma anche qui, una risposta alle nostre domande di cui sopra, la
cerchiamo invano.
Se ora cerchiamo di interpretare quel testo secondo le Scritture, dobbiamo
notare che l’Epistola agli Ebrei – come suggerisce il nome – è stata
indirizzata agli Ebrei, agli Israeliti, cioè alla comunità in Israele. Nel
primo capitolo, l’autore cerca di dimostrare la filiazione divina di Gesù
sulla base dell’AT e allo stesso tempo vuole confutare quella opinione -
apparentemente diffusa tra i destinatari – che Gesù fosse un angelo.
Nel secondo capitolo spiega – alla "stirpe di Abramo" – l’incarnazione
di Gesù e la sua morte espiatrice per i peccati di tutti gli uomini, e perciò
la "salvezza per grazia".
La parola pronunziata fu ferma e ogni trasgressione e disubbidienza ricevette una giusta retribuzione.
Ebr 2,1 Perciò bisogna che ci atteniamo
maggiormente alle cose udite, che talora non finiamo fuori strada. 2,2 Se
infatti la parola pronunziata per mezzo degli angeli fu ferma e ogni
trasgressione e disubbidienza ricevette una giusta retribuzione, 2,3 come
scamperemo noi, se trascuriamo una così grande salvezza? Questa, dopo essere
stata inizialmente annunziata dal Signore, è stata confermata a noi da coloro
che l’avevano udita, 2,4 mentre Dio ne rendeva testimonianza con segni e
prodigi, con diverse potenti operazioni e con doni dello Spirito Santo
distribuiti secondo la sua volontà. Ebr 2, 1- 4;
In connessione con la redenzione di Gesù, lo scrittore ora in
Ebr 2,2 arriva a parlare della "legge" – dei comandamenti, che
Mosè aveva portato agli Israeliti. La salvezza nell’Antico Patto si poteva
raggiungere solo tramite il rispetto incondizionato di questi comandamenti. Ogni
disubbidienza e ogni violazione ricevettero una giusta retribuzione, come
possiamo leggere nel passo parallelo in Atti 7,52-53.
Voi che avete ricevuto la legge promulgata dagli angeli e non l’avete osservata!
Atti 7,52 Quale dei profeti non perseguitarono i
padri vostri? Essi uccisero anche coloro che preannunciavano la venuta del
Giusto, del quale ora voi siete divenuti traditori e uccisori; 7,53 voi che
avete ricevuto la legge promulgata dagli angeli e non l’avete osservata!».
Atti 7,52-53;
Chi dunque non seguiva gli ordini della legge dell’AT, era
colpevole di morte e veniva lapidato a morte. Questo lo conferma anche la stessa
Epistola agli Ebrei.
Chiunque trasgredisce la legge di Mosè muore senza misericordia sulla parola di due o tre testimoni.
Ebr 10,26 Infatti, se noi pecchiamo volontariamente
dopo aver ricevuto la conoscenza della verità, non rimane più alcun sacrificio
per i peccati, 10,27 ma soltanto una spaventosa attesa di giudizio e un ardore
di fuoco che divorerà gli avversari. 10,28 Chiunque trasgredisce la legge di
Mosè muore senza misericordia sulla parola di due o tre testimoni. 10,29
Quale peggiore castigo pensate voi merita colui che ha calpestato il Figlio di
Dio e ha considerato profano il sangue del patto col quale è stato santificato,
e ha oltraggiato lo Spirito della grazia? Ebr 10,26-29;
Nella sua ulteriore argomentazione nel secondo capitolo, lo
scrittore della epistola agli Ebrei mette a confronto la giustificazione secondo
la legge mosaica, con la salvezza per grazia mediante il sacrificio del Signore.
Gesù, affinché per la grazia di Dio gustasse la morte per tutti.
Ebr 2,9 ma vediamo coronato di gloria e d’onore
per la morte che sofferse, Gesù, che è stato fatto per un po’ di tempo
inferiore agli angeli, affinché per la grazia di Dio gustasse la morte per
tutti. 2,10 Conveniva infatti a colui, per il quale e per mezzo del quale
sono tutte le cose, nel portare molti figli alla gloria, di rendere perfetto
per mezzo di sofferenze l’autore della salvezza. Ebr 2, 9-10;
Arriviamo quindi a quel testo, che vogliamo ora analizzare. Per
non perdere il filo del contesto sopra, vogliamo prima considerare il secondo
versetto – Ebr 2,15 -.
Colui che ha liberato tutti quelli che per timore della morte erano tenuti in schiavitù per tutta la loro vita.
Ebr 2,14 Poiché dunque i figli hanno in comune la
carne e il sangue, similmente anch’egli ebbe in comune le stesse cose, per
distruggere, mediante la sua morte, colui che ha l’impero della morte, cioè
il diavolo, 2,15 e liberare tutti quelli che per timore della morte erano
tenuti in schiavitù per tutta la loro vita. Ebr 2,14-15;
Qui dice che il Signore Gesù con la sua morte, ha redento tutti
coloro che per timore della morte dovevano restare schiavi per tutta la vita.
Questa paura della morte di solito è correlata ai membri della Chiesa e in
particolare la seguente dichiarazione: "… per tutta la vita dovevano
restare schiavi …" viene interpretato come schiavitù verso il peccato.
Se però guardiamo il testo attentamente, l’interpretazione non può essere
definita alla Chiesa. Perché allora questi fratelli e sorelle, per paura della
morte, dovrebbero essere schiavi del peccato per tutta la loro vita. E questo è
esattamente l’opposto delle dichiarazioni del Vangelo il quale dice che
dobbiamo fuggire il peccato – anche al prezzo di dover patire la morte.
Considerando il contesto precedente in cui abbiamo provato che lì si vuole
spiegare agli Israeliti la salvezza per grazia – a differenza della salvezza
tramite il rispetto della legge, come da loro finora creduto – dobbiamo quindi
interpretare il testo del verso Ebr 2,15 in modo diverso.
Qui non si parla alla Chiesa ma agli Israeliti appena convertiti. E qui, in
questo verso 15 (non 14!), non si parla del Vangelo, ma dell’Antico Patto. È
detto "… e liberasse quelli che (…) erano tenuti in schiavitù".
Si tratta quindi del comportamento degli ebrei appena convertiti, nel passato
sotto la legge di Mosè. Ora, questo verso si lascia spiegare senza problemi.
Quegli Israeliti, che sono venuti alla fede in Gesù Cristo, e che il Signore
perciò ha salvato, erano nella loro precedente vita servi / schiavi della legge
(mosaica). E dovevano rispettare meticolosamente questa legge, perché – come
abbiamo letto in Ebr 10,28 – "chiunque trasgredisce la legge di Mosè
muore senza misericordia sulla parola di due o tre testimoni." E così
erano "tutta la vita schiavi (della legge) per timore della morte (per
lapidazione)".
Abbiamo così riconosciuto il significato del versetto Ebr 2,15 e possiamo
ora cercare di analizzare la prima parte della frase nel versetto Ebr 2,14.
La parte per noi rilevante di questa frase è: "affinché egli (Gesù) con
la sua morte potesse togliere il potere sulla morte a colui che finora lo aveva,
vale a dire al diavolo". Come abbiamo visto sopra, questo testo è stato -
dai tempi di Lutero! – interpretato relativamente diffuso.
Se qui è detto che
il diavolo "aveva potere sulla morte," e poi nella frase di Riggenbach
nel sopra citato libro di Laubach leggiamo: "Il diavolo ha potenza sulla
morte, nel senso, non che sia lasciata al suo capriccio, come e quando vuole
imporre la morte, si pone la questione, cosa "violenza" altro debba
significare se non arbitrarietà.
Tuttavia, questo aspetto semantico non è tanto di interesse per la nostra
considerazione, piuttosto che il fatto che la maggior parte dei commentatori qui
sono d’accordo su un punto: che vedono nella qui menzionata "morte"
su cui il diavolo ha la potenza, la naturale morte biologica dell’uomo.
Questa frase ha la coniugazione addirittura all’imperfetto, rivolta nel
passato, è scritto " …che aveva il potere sulla morte. Possiamo
quindi presumere che il diavolo a causa della morte salvifica di Gesù, ha perso
il potere della morte. E questa è appunto la difficoltà per quegli esegeti che
vogliono vedere in questa frase la morte biologica. Se il diavolo con il
sacrificio di morte del Signore, avesse perso il potere su questa morte, allora
deve essere avvenuto un cambiamento per questa morte. Dovrebbe esserci una
diversità se il diavolo ha un potere sulla morte o se non la ha più. Ma nulla
è cambiato. Gli esseri umani muoiono questa morte ancora oggi come duemila o
cinquemila anni fa. Siano giusti o empi – tutti muoiono da sempre la stessa
morte.
E da questo alcuni fanno leva e pensano che dopo la morte e la risurrezione del
Signore, i credenti non vadano più nel regno dei morti, bensì direttamente in
cielo presso il Signore. Fritz Laubach, nella sua interpretazione di Ebrei
(citato sopra) punta su questo quando scrive (pag 69):
"Essi (i membri della Chiesa) possono ora senza
paura attendere la fine della loro vita terrena, perché per essi la morte è il
trapasso verso la gloria eterna di Dio":
Ciò significa che i membri della Chiesa dopo la loro morte non
vanno più nel regno dei morti, e non devono là aspettare fino al Risveglio, ma
sono subito rapiti nel cielo.
Questo punto di vista sarebbe molto rilassante per ogni cristiano e potrebbe
certamente piacere a noi tutti, se non ci fosse per una prova contraria nella
Scrittura. In 1Tes 4,15-17 Paolo alla sua Chiesa in Salonicco dà una
rivelazione che aveva ricevuto dal Signore. E qui egli profetizza loro – e con
ciò anche a noi – che la risurrezione dei morti in Cristo avviene non prima
della venuta del Signore. I morti in Cristo saranno prima risvegliati dai morti,
poi rapiti insieme con i vivi, e solo allora saranno in eterno con il Signore.
Quelli che sono morti in Cristo saranno risvegliati per primi.
1Tess 4,15 Ora vi diciamo questo per parola del
Signore: noi viventi, che saremo rimasti fino alla venuta del Signore, non
precederemo coloro che si sono addormentati, 4,16 perché il Signore stesso con
un potente comando, con voce di arcangelo e con la tromba di Dio discenderà dal
cielo, e quelli che sono morti in Cristo saranno risvegliati per primi;
4,17 poi noi viventi, che saremo rimasti, saremo rapiti assieme a loro sulle
nuvole, per incontrare il Signore nell’aria; e così saremo sempre col
Signore. 1Tess 4,15-17;
(Vedi anche excursus 09: "Il
Paradiso")
Pertanto, i morti credenti di tutti i tempi non possono essere
stati con il Signore in cielo, ma erano ovviamente morti fino a quest’ultimo
momento, al ritorno del Signore – quindi nel regno dei morti. La morte e la
risurrezione di Gesù quindi non hanno cambiato nulla per la morte fisica dell’uomo
- fino al ritorno del Signore.
Potrebbe allora essere che questo "potere sulla morte" che fu tolto al
diavolo a causa del Golgota, intenda la risurrezione stessa? Anche questo
approccio non è illogico. Ciò significherebbe, tuttavia, che la risurrezione
è stata "fissata" alla crocifissione del Signore. Ma abbiamo testi
che riferiscono della risurrezione nell’AT, e anche il fatto che il Signore
discusse con i Sadducei (Mat 22:23-33) e già durante la sua vita considerava la
risurrezione un dato di fatto, cosa che ha dimostrato con una scrittura dell’AT,
questo ci mostra che la risurrezione era nel piano di Dio per l’uomo fin dall’inizio
e non doveva essere conquistata attraverso la morte sacrificale di Gesù.
A questo punto sembra che abbiamo esaminato tutte le possibili opzioni per una
interpretazione di questo testo in Ebr 2,14 in connessione con il potere
del diavolo sulla morte dell’uomo, senza giungere a un risultato
soddisfacente. Ma, come vedremo, la risposta a questa domanda è così
difficile, perché è ovvio che la domanda è posta in modo errato. La questione
non dovrebbe essere:
"Quale potenza sulla morte venne tolta al diavolo
dal Golgotha", bensì:
"La potenza su quale morte venne tolta al diavolo dal Golgotha".
In effetti, nella Scrittura, nella Rivelazione di Giovanni,
abbiamo il riferimento ad una "seconda morte".
Chi vince non sarà certamente colpito dalla seconda morte.
Apoc 2,11 Chi ha orecchi, ascolti ciò che lo
Spirito dice alle chiese: chi vince non sarà certamente colpito dalla
seconda morte». Apoc 2,11;
Quindi secondo la Scrittura ci sono due "morti". La
prima è la morte biologica, la morte fisica, così come lo conosciamo. E come
abbiamo visto sopra, questa morte è il risultato del peccato originale di
Adamo. Ma non è solo questo il peccato che pesa su tutta l’umanità. Ci sono
tutti i peccati personali di ogni individuo, che lo rendono altrettanto
colpevole e hanno le loro conseguenze come quella del peccato originale. Essi
conducono alla morte. Tuttavia, questa morte non è più di questo mondo. Come
apprendiamo da Apoc 20,14, la seconda morte è il lago di fuoco, il lago
che brucia con fuoco e zolfo e in cui sono gettati tutti i malvagi e
impenitenti, alla fine del mondo.
Lo stagno di fuoco, questa è la morte seconda.
Apoc 20,14 Poi la morte e l’Ades furono gettati
nello stagno di fuoco. Questa è la morte seconda. Apoc 20,14;
Nella risurrezione generale, la "nuova nascita", come
la chiama il Signore (Mat 19:28), tutti i morti saranno resuscitati con un corpo
di risurrezione e staranno davanti al loro giudice nel Giudizio Universale. I
giusti andranno nella Gerusalemme celeste, la nuova creazione di Dio nell’eternità.
Gli empi però soffriranno con il nuovo corpo di risurrezione la "ri-morte"
e moriranno una seconda volta.
(Vedi anche excursus 07: "Il
corpo della risurrezione")
Questa seconda morte non è la distruzione e la
"sparizione" di uomo, come alcuni sostengono, ma una eterna esistenza
disincarnata in dannazione, lontano da Dio e dal suo amore. È risentito nella
Rivelazione/Apocalisse e con Matteo:
Gl’increduli, la loro parte sarà nello stagno che arde con fuoco e zolfo, che è la morte seconda.
Apoc 21,8 Ma per i codardi, gl’increduli, gl’immondi,
gli omicidi, i fornicatori, i maghi, gli idolatri e tutti i bugiardi, la loro
parte sarà nello stagno che arde con fuoco e zolfo, che è la morte seconda».
Apoc 21,8;
Mat 3,11 Io vi battezzo in acqua, per il
ravvedimento; ma colui che viene dopo di me è più forte di me, e io non sono
degno neanche di portare i suoi sandali; egli vi battezzerà con lo
Spirito Santo e col fuoco. 3,12 Egli ha in mano il suo ventilabro e pulirà
interamente la sua aia; raccoglierà il suo grano nel granaio, ma arderà la
pula con fuoco inestinguibile». Mat 3,11-12;
Mar 9,47 E se l’occhio tuo ti è occasione di peccato, cavalo; è meglio
per te entrare con un occhio solo nella vita, che averne due ed essere gettato
nella Geenna del fuoco, 9,48 dove il loro verme non muore e il fuoco non si
spegne. Mar 9,47-48;
Mat 8,11 Or io vi dico, che molti verranno da levante e da ponente e
sederanno a tavola con Abrahamo, con Isacco e con Giacobbe, nel regno dei cieli.
8,12 Ma i figli del regno saranno gettati nelle tenebre di fuori. Lì sarà
il pianto e lo stridor di denti». Mat 8,11-12;
Mat 13,41 Il Figlio dell’uomo manderà i suoi angeli, ed essi
raccoglieranno dal suo regno tutti gli scandali e gli operatori d’iniquità,
13,42 e li getteranno nella fornace del fuoco. Lì sarà pianto e stridor di
denti. 13,43 Allora i giusti risplenderanno come il sole nel regno del
Padre loro. Chi ha orecchi da udire, oda!». Mat 13,41-43;
Mat 13,49 Così avverrà alla fine del mondo; gli angeli verranno
e separeranno i malvagi dai giusti; 13,50 e li getteranno nella fornace del
fuoco. Lì sarà pianto e stridor di denti». Mat 13,49-50;
Giuda 1,6 Egli ha pure rinchiuso nelle tenebre dell’inferno con catene
eterne, per il giudizio del gran giorno, gli angeli che non conservarono il loro
primiero stato ma che lasciarono la loro propria dimora. 1,7 Proprio come Sodoma
e Gomorra e le città vicine, che come loro si erano abbandonate alla
fornicazione e si erano date a perversioni sessuali contro natura, sono
state poste davanti come esempio, subendo la pena di un fuoco eterno; Giuda 1,
6- 7;
(Vedi anche capitolo 12: "La
Risurrezione".)
I testi qui sotto da Rom 6 parlano anche della morte. E
della morte come il salario del peccato. E qui diventa chiaro che non può
trattarsi della prima, della morte fisica dell’uomo. In base alla nostra
esperienza, sappiamo che in questo mondo, peccato e ingiustizia, non procurano
la morte dell’uomo, ma in molti casi sono premiati con potere, ricchezza e
lunga vita. Sia nella storia che nel nostro tempo sono molti gli esempi di
dittatori tra i più brutali, che sono stati responsabili della morte di
centinaia di migliaia di persone, che hanno raggiunto età straordinariamente
avanzata (nei nostri giorni, per esempio il dittatore cileno Pinochet).
Il salario del peccato non è quindi la morte fisica, ma qui Paolo ci indica la
seconda morte, cosa che devono aspettarsi tutti coloro i cui peccati non sono
stati perdonati.
Siete servi di colui al quale ubbidite, o del peccato per la morte, o dell’ubbidienza per la giustizia.
Rom 6,16 Non sapete voi che a chiunque vi offrite
come servi per ubbidirgli, siete servi di colui al quale ubbidite, o del
peccato per la morte, o dell’ubbidienza per la giustizia? Rom 6,16;
Infatti il salario del peccato è la morte, ma il dono di Dio è la vita eterna in Cristo Gesù, nostro Signore.
Rom 6,20 Perché, quando eravate servi del peccato,
eravate liberi in rapporto alla giustizia. 6,21 Quale frutto dunque avevate
allora dalle cose delle quali ora vi vergognate? Poiché la loro fine è la
morte. 6,22 Ora invece, essendo stati liberati dal peccato e fatti servi di Dio,
voi avete per vostro frutto la santificazione e per fine la vita eterna. 6,23 Infatti
il salario del peccato è la morte, ma il dono di Dio è la vita eterna in
Cristo Gesù, nostro Signore. Rom 6,20-23;
Anche il confronto di questa morte – come salario del peccato -
e il dono di Dio, la vita eterna nel precedente versetto Rom 6,23, indica
che con questa seconda, si intende la morte ultima e finale, in contrasto con l’unica
valida, la vita eterna.
Ma abbiamo anche in altre frasi del NT prove per questa seconda morte. Il
Signore dice in Mat 8,21-22 a un discepolo che voleva seppellire in fretta
suo padre prima che potesse seguire Gesù:
Seguimi, e lascia che i morti seppelliscano i loro morti.
Mat 8,21 Poi un altro dei suoi discepoli gli disse:
«Signore, permettimi di andare prima a seppellire mio padre». 8,22 Ma Gesù
gli disse: «Seguimi, e lascia che i morti seppelliscano i loro morti».
Mat 8,21-22;
Qui, in un’unica breve frase, è indicata sia la prima, la
morte fisica al termine della nostra vita, che la seconda, la morte spirituale,
dopo il Giudizio Universale alla Fine del Mondo. Per il Signore quelli che
seppellivano i loro morti, erano anche già morti, della morte seconda, perché
non vogliono convertirsi a Dio ma restano perseveranti nei loro peccati.
(Vedi anche capitolo 13: "Il
Giudizio Universale")
Come, quindi dice Paolo in Rom 6,16, siamo schiavi di colui
a cui obbediamo. O schiavi del peccato per la morte, o servi di obbedienza per
la giustificazione.
Per comprendere questa schiavitù del peccato correttamente, dobbiamo essere
consapevoli di ciò che è veramente peccato: il peccato è ogni qualsivoglia
azione contro i comandamenti di Dio. E qui in molti casi, non si tratta di
assassinio, rapina e omicidio colposo, ma di peccati della vita quotidiana:
cattiveria, avarizia, avidità, invidia, odio, furto, bugia, falsa testimonianza
("cattive dicerie"), frode, adulterio, alcol- o tossicodipendenza,
ecc.
E qui si nota la difficoltà per molte persone ad ammettere questi peccati. La
menzogna è ridimensionata a "piccola bugia bianca" chi ha ricevuto
troppo resto alla cassa lo intasca e non riconosce questo come truffa, perché
non è "colpa sua", la scappatella viene giustificata presumendo che
anche il partner non sia fedele e così via.
Ma anche quando la persona decide di eliminare l’uno o l’altro peccato, deve
riconoscere che questo non è così facile. Si mostra allora, una resistenza
interna che rifiuta di rinunciare a questa abitudine. Che porta a pensare anche
di averne "diritto", perché "dopo tutto …"- Questo tipo
di argomentazione dovrebbe essere ben risaputo. E questa è la prova che siamo
venduti al peccato. Siamo schiavi dei nostri peccati.
Come vediamo, l’uomo irredento è consegnato ai suoi peccati e non può
liberarsi di loro. Se dovesse anche riuscire con uno, probabilmente cade
immediatamente in un altro peccato forse ancora più pesante del primo. Questa
è la schiavitù del peccato: siamo prigionieri delle nostre bramosie e peccati.
La concupiscenza partorisce il peccato e il peccato, quando è consumato, genera la morte.
Gia 1,13 Nessuno, quando è tentato dica: «Io sono
tentato da Dio», perché Dio non può essere tentato dal male, ed egli stesso
non tenta nessuno. 1,14 Ciascuno invece è tentato quando è trascinato e
adescato dalla propria concupiscenza. 1,15 Poi, quando la concupiscenza ha
concepito, partorisce il peccato e il peccato, quando è consumato, genera la
morte. Gia 1,13-15;
In base alla dichiarazione di qui sopra in Gia 1,13-15,
possiamo ora rispondere alla domanda iniziale, perché il diavolo ha potere
sulla morte. Dal tempo di Adamo ed Eva è tramite Satana che le tentazioni
entrano nel mondo. Ma queste tentazioni, se lasciate inosservate, non possono
danneggiare nessuno – ad eccezione di quelle persone che si propongono per
tentare gli altri, come dice il Signore in Matteo 18,6-7.
Perché è necessario che avvengano gli scandali, ma guai a quell’uomo per colpa del quale avviene lo scandalo!
Mat 18,6 Ma chi avrà scandalizzato uno di questi
piccoli che credono in me, sarebbe meglio per lui che gli fosse legata una
macina d’asino al collo e che fosse sommerso nel fondo del mare. 18;7 Guai
al mondo per gli scandali! Perché è necessario che avvengano gli scandali,
ma guai a quell’uomo per colpa del quale avviene lo scandalo! Mat 18,
6- 7;
Ma quando le nostre bramosie realizzano queste tentazioni, ne
nasce il peccato. Lo stesso peccato, quando è completato, conduce alla
(seconda) morte.
Come vediamo, il potere del diavolo sulla (seconda) morte è solo indiretto.
Egli porta la tentazione – l’adozione e l’applicazione restano
responsabilità dell’uomo. Tuttavia, questo metodo di Satana – come la storia
dimostra – è di grande successo.
Non è così che tutti noi abbiamo peccato? Che noi tutti
abbiamo già ceduto alle tentazioni di Satana? Esatto! Già Paolo ci scrive nell’epistola
ai Romani: "… abbiamo appena dimostrato che tutti (…) sono sotto il
peccato, come sta scritto: Non c’è nessuno che è giusto, nemmeno uno".
E di conseguenza, saremmo in effetti tutti perduti e condannati alla seconda
morte nel lago di fuoco. I peccati che abbiamo commesso una volta, non possono
essere annullati da noi.
Un capro espiatorio, come per gli Ebrei che sacrificavano un toro o un montone
non sarebbe sufficiente a saldare tutti i nostri peccati. Anche se si dovessero
scannare tutti i bovini e ovini di tutto il mondo.
Questo è il motivo per cui Dio ha scelto una vittima, che è davvero in grado
di ripagare il debito di tutti gli uomini. Egli mandò suo Figlio, che è morto
come sacrificio gradito a Dio, per pagare per i peccati di tutto il mondo. E
questo sacrificio ha spezzato il potere del peccato e quindi il potere del
diavolo sulla morte seconda. Il motivo fondamentale di questo sacrificio
propiziatorio è troppo poco percepito nel nostro tempo, e perciò vogliamo
esaminarlo qui un po’ più da vicino.
Da una parte abbiamo il Dio assolutamente giusto, che non tollera ingiustizia -
e quindi il peccato. Questo è il Dio, a cui gli Ebrei ortodossi fin dall’inizio
ad oggi rivolgono adorazione e preghiera. Dall’altra c’è l’uomo il quale
mai riesce a soddisfare questo requisito. Non perché questa richiesta, questa
legge sarebbe inattuabile in sé. No, la legge di Dio, i suoi comandamenti sono
buoni e giusti, e se tutte le persone li mantenessero, questo mondo sarebbe
stato pacifico e giusto.
Ma l’uomo, nella sua megalomania, pensa di non doversi attenere a questi
comandamenti. Sì, crede, nella sua insuperabile arroganza di potersi fare le
proprie leggi e non necessitare più dei comandamenti di Dio – e tantomeno di
questo Dio.
Anche qui si riconosce la firma del "angelo della luce" Lucifero:
aveva nel principio sussurrato agli uomini: "non morirai", tuoneggia
ora "Non avete bisogno di nessun Dio". E così come i nostri antenati,
anche noi seguiamo questi suggerimenti, e siamo ben felici di immedesimarci a
"Dio". Così che il diavolo ha preso due piccioni con una fava. E ci
separa dal nostro Dio, così non siamo in grado di amare il nostro Dio, e allo
stesso tempo separa Dio da noi, perché così ci impedisce di ricevere l’amore
di Dio.
Con ciò però, pecchiamo contro il primo e più importante comandamento:
Il Signore è il nostro Dio, solo il Signore.
E tu amerai il Signore tuo Dio, con tutto il
tuo cuore e con tutta l’anima tua
e con tutta la tua forza. (Deut 6,4-5)
Fino a duemila anni fa questo dilemma era presente solo per i
Giudei fedeli. Perché solo loro fino ad allora credevano a questo unico e solo
Dio. E a loro era concesso di lavare i loro peccati attraverso il sangue. Con il
sangue di un animale sacrificale.
Ma poi Dio mandò il proprio Figlio, per porre fine a questa strage. Proprio
come sappiamo di Abrahamo con suo figlio Isacco, che Dio ha frenato all’ultimo
momento, in modo che Isacco poté rimanere in vita, Dio stesso si è sacrificato
nella persona del suo unico Figlio. E a differenza della situazione con
Abrahamo, non c’era nessuno che lo potesse frenare.
Per questo modo di procedere di Dio non vi è nessuna parabola migliore della storia del principe Avaro Shamil, un capo tribale dal Caucaso del nord del diciannovesimo secolo, raccontata dall’esperto di economia politica Roscher:
"Al fine di mantenere l’unità e la disciplina nella sua tribù,
il principe aveva emesso ordini severi che nessuno poteva mettere le mani sul bottino, che
apparteneva alla tribù nel suo complesso. Chiunque viola quest’ordine è punito con 100
bastonate.
La prima violazione di questa legge avviene – proprio per mano dell’anziana madre del
principe. Cosa succederà adesso? Se la sanzione non viene applicata, la giustizia del
principe è contestata e la serietà dei suoi comandi è sminuita per tutti i tempi.
Roscher racconta che il principe si era rinchiuso nella sua tenda per un giorno. Poi
emerse con la direttiva: la pena è da applicare.
Come però il primo colpo fu battuto sul dorso della madre, si strappò il mantello, si
gettò davanti a sua madre e gridò ai soldati: continuate a battere e non un colpo di meno!
Aveva trovato la soluzione! La madre fu salvata e allo stesso tempo dimostrava la schiena
lacerata e sanguinante del principe, quanto severamente erano da applicare i suoi ordini e
come si doveva attenere la legge e la giustizia nella tribù."
(tratto da Werner de Boor: Der Brief an die Römer, WStB, R. Brockhaus Verlag [La Lettera ai Romani, WStB, R. Brockhaus
Editore])
Così dimostra anche il sangue e la morte di nostro Signore Gesù Cristo sulla croce, come Dio nella sua giustizia è inesorabile contro il peccato, e quanto è grande il suo amore per noi
esseri umani.
I Giudei non hanno riconosciuto questo contesto, al tempo di Gesù e non lo
riconoscono, purtroppo, fino ad oggi!
E quindi Paolo ci dice nel seguente 1Cor 15,57: "a Dio
la gloria che ci dà (cioè Dio) la vittoria per mezzo del Signore nostro Gesù
Cristo". E questa frase ci dice né più né meno che sta a noi se vogliamo
approfittare di questa vittoria sul potere della morte – della seconda morte.
Ma ringraziato sia Dio che ci dà la vittoria per mezzo del Signor nostro Gesù Cristo.
1Cor 15,54 Così quando questo corruttibile avrà
rivestito l’incorruttibilità e questo mortale avrà rivestito l’immortalità,
allora sarà adempiuta la parola che fu scritta (Isaia 25,8; Osea 13,14): «La
morte è stata inghiottita nella vittoria». 15,55 O morte, dov’è il
tuo dardo? O inferno, dov’è la tua vittoria? 15,56 Ora il dardo della
morte è il peccato, e la forza del peccato è la legge.
15,57 Ma ringraziato sia Dio che ci dà la vittoria per mezzo del Signor
nostro Gesù Cristo. 15,58 Perciò, fratelli miei carissimi, state saldi,
irremovibili, abbondando del continuo nell’opera del Signore, sapendo che la
vostra fatica non è vana nel Signore. 1Cor 15,54-58;
Qui abbiamo, come membri della Chiesa una grande responsabilità
per quanto riguarda il nostro comportamento nel mondo. Se accettiamo con gioia
la dichiarazione di Paolo in 1Cor 15,57, e annunciamo che il nostro
Salvatore e Signore Gesù Cristo, ha riportato per noi la vittoria sul peccato
mediante il suo sacrificio sulla croce, ma d’altra parte niente e nessuno
impedisce anche ai cristiani apparentemente convertiti di continuare a
commettere questi peccati, alcuni giustamente si chiedono dove è realmente
questa redenzione.
L’uomo giustificato quindi non è "incapace" di peccare, come alcuni
pensano o sperano. Egli è completamente libero di fare o di lasciare ciò che
vuole. La differenza è che – contrariamente all’uomo irredento – non è più costretto
a peccare. Egli non è più schiavo dei suoi peccati e può evitarli senza che
una voce dentro di lui lo istighi a farli. Egli è liberato da quelle catene che
lo hanno legato al peccato persistentemente. E’ però responsabile egli stesso
di liberarsi di queste catene ora sciolte.
Dio stesso si è abbassato ad offrire a noi la salvezza nel suo figliolo. Il
sacrificio del Signore Gesù è l’offerta di nostro Dio per aiutarci.
Accettiamo questa offerta e rivendichiamo questa vittoria per noi, allora siamo
salvati.
La conseguenza del peccato e della salvezza per grazia.Al fine di soddisfare la domanda giusta di Dio che i suoi comandamenti essere adempiuti, mentre allo stesso tempo offre quegli esseri umani che violano loro la possibilità di essere salvato da questa dannazione eterna, il Figlio di Dio è morto sulla croce sostituto per ogni singolo individuo umano (1Cor 15:3-5). Così tutti coloro che accettano nella fede il sacrificio redentore del Figlio di Dio in espiazione per i propri peccati possono essere salvati, e come peccatori che sono stati giustificati per la grazia può entrare nella vita eterna con Dio (Rom 5:9-11). |
Ora la dichiarazione di qui sopra è il fulcro di ogni
evangelizzazione, ma spesso i nuovi convertiti sono lasciati al buio sulle
conseguenze implicite di questa azione. E così, spesso si sente giustamente
dubitare: "Non può essere tutto. Sarebbe troppo facile". Al ché in
alcuni ambienti evangelici, ci si sforza di invogliare gioiosamente la gente:
"Sì, è così semplice. Di ’sì’ a Gesù, e sei salvato".
Si
potrebbe quasi pensare che questi fratelli e sorelle evangelici, certamente
zelanti, abbiano però perso il sano senso. Per gli scettici appena convertiti -
se sono onesti – istintivamente sentono, che questo non può essere tutto. E
naturalmente sono giustamente scettici sulle euforiche conferme dei loro nuovi
fratelli.
Ciò che a loro spesso non si dice è, per così dire, le
"condizionali" di questa decisione:
Se accetto questo sacrificio del Signore per i miei peccati e per la mia
salvezza, io mi dichiaro nello stesso tempo e "automaticamente" alle
seguenti circostanze:
1. Io sono un peccatore e indegno anche solo di pronunciare
il nome di Dio.
2. Io stesso non sono in grado di offrire a Dio un riscatto
adeguato per i miei peccati.
3. Sono quindi fin’ora ancora separato da Dio, così io
sono un pagano e ateo. (Ciò colpisce in modo particolarmente duro, coloro che
fin dall’infanzia hanno fatto opere buone, o che si ritengono cristiani,
attivi in qualche comunità religiosa, da anni.)
4. Confermo con questa mia decisione che sono perduto e che
ho bisogno di essere salvato.
5. Riconosco che per me c’è una sola salvezza, e il suo
nome è Gesù Cristo.
6. Io so che questo sacrificio, questa vittoria dell’adesso
mio Signore Gesù Cristo vale per tutti i miei peccati e mi dona la vita eterna
al giorno della mia risurrezione fisica.
7. Dichiaro di essere pronto e disposto ad accettare questa
salvezza e di prenderne atto in tutte le mie decisioni in futuro come parte
della mia vita.
L’esistenza eterna di ogni essere umano.Ogni essere umano, che con la sua nascita corporale
abbandona, vivo, il sacco amniotico della madre, e che, dunque è "nato
d’acqua" (liquido amniotico, fluidità amniotica) (Giov 3:5), riceve da Dio
(Giov 4:24) uno spirito umano (1Cor 2:11) con l’esistenza eterna (Mat
25:46). Nella prima parte temporale e terrena di questa esistenza – nella
sua vita, l’essere umano ha la possibilità di scegliere in assoluta
libertà e senza alcuna costrizione con lo spirito datogli da Dio (Gen 2,7; 6,3)
se donare a questo Dio, il creatore di tutta la vita, la sua completa fiducia e
tutto il suo amore. Se c’è un corpo naturale, c’è anche un corpo
spirituale. 1Cor 15,42 Così è pure della risurrezione dei
morti. Il corpo è seminato corruttibile e risuscita incorruttibile; 15,43
è seminato ignobile e risuscita glorioso; è seminato debole e risuscita potente;
15,44 è seminato corpo naturale e risuscita corpo spirituale. Se c’è un
corpo naturale, c’è anche un corpo spirituale. 15,45 Così anche sta
scritto: «Il primo uomo, Adamo, divenne anima vivente» (Gen 2,7);
l’ultimo Adamo è spirito vivificante. 15,46 Però, ciò che è
spirituale non viene prima; ma prima, ciò che è naturale, poi viene ciò che
è spirituale. 15,47 Il primo uomo, tratto dalla terra, è terrestre; il secondo
uomo è dal cielo. 15,48 Qual è il terrestre, tali sono anche i terrestri; e
quale è il celeste, tali saranno anche i celesti. 15,49 E come abbiamo portato
l’immagine del terrestre, così porteremo anche l’immagine del celeste.
1Cor 15,42-49; Con questo corpo, l’essere
umano starà poi durante il Giudizio Universale
al cospetto del Figlio di Dio, che, per incarico di Dio
(Giov 5:22, 26-27), giudicherà ciascun essere umano secondo le azioni terrene e in
base alla scelta da lui compiuta in vita a favore o contro Dio (Rom 2:16). "Se voi mi amate, osserverete i miei comandamenti; e io pregherò il
Padre, ed Egli vi darà un altro consolatore, perché stia con voi per sempre, lo Spirito della
verità, che il mondo non può ricevere perché non lo vede e non lo conosce. Voi lo conoscete, perché
dimora con voi, e sarà in voi." Giov 14,15-17; Da questo punto di vista si è già espresso il noto evangelista e predicatore
Wilhelm Busch con i suoi ascoltatori: "Non c’è
bisogno di accogliere il messaggio che le sto dicendo. Può lasciare perdere di
convertirsi a Gesù. Ma abbia ben chiaro che in tal modo lei sceglie l’inferno! Lei ha
la totale libertà!! (Vedi anche discorso 22: "Esiste
l’immortalità dell’anima?") Per tutti coloro che vorrebbero averlo breve e
moderno: |
Allora il tutto si mostra già un po’ più realistico.
Si riconosce: non è "così semplice". Queste sono conseguenze che si
riversano nella vita di ogni essere umano. Nell’autostima, nell’orgoglio
nella colpa, nel cuore, nell’anima, nel cervello e nella mente, nel
comportamento con altre persone, vecchi amici, nuovi amici, il proprio rapporto
con l’onestà, la giustizia, la menzogna, l’inganno.
Ma anche il mio atteggiamento verso Dio: a lui non posso nascondere nulla. Lui
sa quanti capelli ognuno di noi ha sulla testa (Mat 10:30). In ogni momento
della nostra vita. Come potrei nascondere qualcosa da lui? Egli conosce tutti i
miei pensieri. Anche quelli che non ho ancora pensato ma che penserò.
Con un tale Dio non serve stare a discutere. Non ho argomenti per farlo. Egli mi
conosce meglio di quanto io mi conosco. Per ciascuno dei miei argomenti, egli ne
ha dieci altri a cui non posso controbattere, perché sono assolutamente veri e
giusti.
Quindi devo ammettere di essere alla fine. Mi rendo conto che non c’è modo di
giustificare me stesso. Ho provato tutto, e tutto ha dimostrato di essere nullo.
E poi mi rendo conto: di tutto questo non ne ho bisogno. Non riesco a
giustificarmi – ma non è neanche necessario. Dio non vuole da me nessuna
giustificazione, ma che io confessi la mia colpa e accetti il suo perdono. Con
questo la mia colpa è redenta e Dio non ci pensa più.
E con ciò è fatto solo un inizio. Un inizio per una nuova vita convertita con
Dio. E questa vita è fondamentalmente diversa da quella degli autoproclamati
cristiani. Recentemente ho avuto un discorso con uno di questi
"cristiani". Mi raccontò, che non crede in Dio, ma va comunque in
chiesa ogni Domenica, perché gli piace cantare. Il mio suggerimento, che
farebbe meglio ad associarsi in un club di canto, non lo ha seriamente
esaminato.
Ma anche cristiani denominali tra quelli seriamente coinvolti non si accorgono
che il loro rapporto con Dio in realtà è nullo. La loro preghiera ha tanto di
sostanziale e personale quanto una segnaletica autostradale. Si tratta di una
ripetizione a pappagallo che non merita certo il titolo "preghiera".
In fin dei conti ne dovremmo essere davvero felici. Perché se si presuppone che
"pregare" è un colloquio con Dio, questo ronzio di testi ripetuti a
memoria da tante persone, che con i loro pensieri sono già a pranzo e con gli
sguardi sul nuovo cappotto della vicina, sarebbe questo tipo di
"parlare" con Dio di per sé un peccato continuo.
Da persone convertite siamo figli di dio. E così come i bambini
parlano con il loro padre, così dovremmo parlare con il nostro dio. Non
recitare una poesia. Non esercizi di retorica da spasmo. Questo sarebbe un
insulto a Dio e per noi del tutto senza benefici. E per questo parlare non
dobbiamo cercare pubblicità. Quelli che pregano in pubblico hanno spesso uno
motivo completamente diverso. Dio è spirito, e quelli che lo adorano devono
adorarlo in spirito e verità. Andiamo quindi, per pregare "nella nostra
cameretta" e chiudiamo la porta. là Dio ci sente molto meglio che in una
chiesa. Bella quanto sia.
Dio è Spirito, e quelli che lo adorano devono adorarlo in spirito e verità.
Giov 4,23 Ma l’ora viene, anzi è già venuta,
che i veri adoratori adoreranno il Padre in spirito e verità, perché tali
sono gli adoratori che il Padre richiede. 4,24 Dio è Spirito, e quelli
che lo adorano devono adorarlo in spirito e verità». Giov 4,23-24;
Ma tu, quando preghi, entra nella tua cameretta, chiudi la tua porta e prega il Padre tuo nel segreto.
Mat 6,5 E quando tu preghi, non essere come gli
ipocriti, perché essi amano pregare stando in piedi nelle sinagoghe e agli
angoli delle piazze, per essere visti dagli uomini; in verità vi dico, che
essi hanno già ricevuto il loro premio. 6,6 Ma tu, quando preghi, entra
nella tua cameretta, chiudi la tua porta e prega il Padre tuo nel segreto; e
il Padre tuo, che vede nel segreto, ti ricompenserà pubblicamente. 6,7 Ora,
nel pregare, non usate inutili ripetizioni come fanno i pagani, perché essi
pensano di essere esauditi per il gran numero delle loro parole. 6,8 Non
siate dunque come loro, perché il Padre vostro sa le cose di cui avete bisogno,
prima che gliele chiediate. Mat 6, 5- 8;
Così, la vedeva anche Gottfried Daniel Pomacher, un
predicatore revivalista dal Wuppertal quando disse:
"Il cristianesimo non sussiste in parole ma
nella potenza dello Spirito Santo nei credenti. Non questi sono i pilastri del
tempio, che in pubbliche preghiere con "Signore, Signore" si attirano
l’ammirazione, ma quelli che a casa, nella loro cameretta a porte chiuse e
senza un singolo uditore inviano le loro preghiere al Signore, sono le vere
colonne della Chiesa".
C’è di più: tali pubbliche "preghiere" spesso non
sono sincere. Si fa più attenzione alla forma, quanto al contenuto. Ciò non
significa che parlando con Dio non dobbiamo prestare attenzione alla forma. Ma
è sufficiente la forma che usiamo senza artifici anche nei colloqui con i
nostri cari.
Più importante, tuttavia, è il contenuto delle nostre preghiere. Dovremmo
avere ogni giorno una conversazione con il nostro Padre celeste. Dovremmo
portare le nostre preghiere, ma anche il nostro ringraziamento per mezzo del
Signore nostro Gesù. Analogamente, come abbiamo nella nostra vita, da un lato
le primarie necessità per noi e per i nostri cari, e per l’altro ogni giorno
si verificano diverse esigenze, anche la nostra preghiera diventa un riflesso di
queste esigenze come anche espressione di gratitudine per i successi ottenuti.
Oltre a questo quotidiana "conversazione di base" con Dio, non
dobbiamo avere timore di parlare con amore al nostro Signore prima o nel corso
di impegni, avvenimenti o decisioni, come faremmo con il nostro padre terreno,
quando avessimo bisogno del suo aiuto.
Quindi nelle nostre preghiere, non si tratta di un impegno letterario e retorico
per eccellenza, ma di esprimere le preoccupazioni e i bisogni, come anche la
gioia del nostro cuore, sia in parole, in pensieri, con pianto, con applauso o
con lode. E se in certe situazioni riusciamo anche solo a balbuziare, il Signore
promette che ci aiuterà lo Spirito Santo, a portare i nostri pensieri per noi
davanti a Dio.
Infine, non dobbiamo dimenticare:
La distanza minima tra un problema e la sua
soluzione è la distanza tra le nostre ginocchia e il pavimento. Chi si
inginocchia davanti al Signore, può cimentarsi in ogni sfida.
Inizio della prima creazione L’uomo ha la vita eterna e si trova in presenza di Dio (nel Giardino dell’Eden) Attraverso la fede nel figlio di Dio, in Satana, l’uomo ha perso la vita eterna (Peccato originale) Attraverso la disobbedienza del figlio di Dio, di Satana, l’uomo è scacciato da Dio (espulsione dall’Eden) La vita dell’uomo dura circa un migliaio di anni (tra espulsione e diluvio) Nella punizione di Dio i giusti sono salvati, gli empi distrutti (Diluvio Universale) Satana tenta gli orgogliosi: vogliono essere come Dio (Torre di Babele) Il Signore confuse le lingue di tutti i paesi e li disperse (confusione delle lingue) La gente rigetta la fede – chi lo fa è perduto Il figlio di Dio, Satana è sconfitto dal Figlio di Dio Gesù La gente viene alla fede – chi crede è salvato Attraverso lo Spirito Santo la lingua dei Santi è comprensibile per tutti (miracolo della Pentecoste) Satana tenta gli orgogliosi: vogliono essere come Dio (Babilonia la Grande) Nella punizione di Dio i giusti sono salvati, gli empi distrutti (Grande Tribolazione) La vita umana dura nuovamente circa un migliaio di anni (Millennio) Tramite la fede nel Figlio di Dio, Gesù l’uomo ha ricevuto la vita eterna (Nuova nascita) Attraverso l’obbedienza al Figlio di Dio, Gesù l’uomo è accettato da Dio (Giudizio Universale) L’uomo ha riacquistato la vita eterna, ed è in presenza di Dio (Gerusalemme Celeste) Fine della prima creazione – Inizio della seconda creazione |
Come mostra l’elenco qui sopra, lo sviluppo storico del nostro
mondo, fin dall’inizio della sua creazione all’Incarnazione del Figlio di
Dio, trova il rispecchio parallelo di questo stesso evento fino al termine di
questa prima creazione.
Tuttavia, questo confronto non è sorprendente, ma piuttosto una conseguenza
logica del processo. Simile a come la discesa da una montagna tocca di nuovo gli
stessi punti, che si è già passati durante la salita, così il sentiero dell’uomo
conduce al suo Dio in direzione opposta a quella da cui si è allontanato dallo
stesso Dio.